Cornici. Perché volenti o nolenti, più o meno consapevolmente, ci muoviamo sempre all’interno di cornici. Che si tratti di costrutti sociali, di abitudini individuali, di ruoli famigliari o di ampie strutture legate ad influenze archetipiche, il nostro vivere e le nostre scelte spesso sono dettate dalla cornice che troppo frequentemente dimentichiamo di avere intorno. Anche le icone, i miti, le immagini rivoluzionarie che hanno portato cambiamenti politici o culturali, si muovono all’interno di cornici e con queste dialogano, si confrontano e in alcuni casi, finiscono con il distruggerle.

Callas e Pasolini

Nina Razzaboni sceglie di presentare un percorso di immagini femminili che sono diventate iconiche, e di soffermarsi sul rapporto che queste hanno con la cornice. Partiamo così dal mito greco, da Antigone, Medea e Medusa. Tre donne con una chiara collocazione culturale, tre donne che sono diventate simboli e che Nina sceglie di mostrarci sotto una luce diversa, capovolgendo le abituali chiavi di lettura, rompendo le cornici e inserendole in un nuovo contesto culturale: il nostro. Così è per Medusa che inizialmente è presentata come soggetto statico inserita in una cornice, indiscutibile simbolo di donna pericolosa. E’ il soggetto stesso che entra poi in relazione con la struttura culturale che lo delimita e sceglie di rompere lo schema, capovolgere il punto di vista, destrutturare la cornice. Solo così Medusa può assumere un nuovo senso ed entrare in dialogo con un nuovo contesto: la nostra attualità.

Medusa protettrice

Da questo primo imput la riflessione si amplia e dal mito lo sguardo si sposta sul teatro, da qui sulla lirica, con un omaggio alla 77esima stagione della Lirica Sperimentale di Spoleto, per raggiungere poi la cultura pop ed approdare al nostro contemporaneo.

Ritroviamo così la Medea Callas, la Turandot, ma anche Gloria Gaynor e Janis Joplin fino ad arrivare a Masha Amini, la giovane iraniana uccisa quest’inverno perché, come Antigone, sceglie di non aderire ad una legge che ritiene ingiusta.

janis joplin

Ogni volta partendo da un’immagine iconica, che possa essere archetipica, fiabesca, o legata alla cultura pop, la Razzaboni ci porta ad osservare il contesto culturale nel quale si è mossa, ossia la cornice e da questa, rompendo gli schemi, si spinge verso nuovi collegamenti resi possibili proprio dalla rottura, o da un nuovo rapporto che il soggetto, ma anche l’osservatore stabilisce con la cornice. Chiari esempi sono Antigone, che afferra la cornice in cui dovrebbe essere contenuta e ci mostra come uscirne, o Medea che manifesta il suo travaglio interiore mostrandosi chiusa e al tempo stesso al di fuori della cornice.

Tutto è espresso da una tecnica che coniuga figurativo ed astratto. I volti femminili sono circondati e sostenuti da un polimaterico cromaticamente denso, dove i metalli, quali alluminio e rame, si mescolano alle pennellate sottolineando dettagli o sostenendo l’impalpabilità della musica. Ci troviamo così davanti a pagine di partiture o canne d’organo in alluminio, che da un Requiem di Mozart ritornano in un Cry Baby di Janis Joplin.