Case traballanti, percorsi acrobatici treni in partenza… e poi lei, la donna, silenziosa presenza, attrice e spettatrice di una perpetua precarietà. Questi i ricorrenti soggetti dell’opera di Alessandra Carloni che, con il suo inconfondibile tratto carico di suggestioni legate alle illustrazioni per l’infanzia, ci porta verso un mondo caotico, pieno di dettagli e di storie, pieno di vite raccolte nell’incertezza, ricco di frammenti di momenti, forse decisivi, forse eternamente ricorrenti.
La donna appare nella sua silenziosa solitudine, travolta dagli eventi e al tempo stesso lontana e quasi indifferente. Il dolore sembra graffiare la tela. Non ci sono immagini violente, non c’è esaltazione di sofferenza, ma quiete, sospensione del respiro.
Valigie che un tempo avrebbero dovuto raccogliere vissuti da custodire, scrigni di personalità, cadono vuote, abbandonate su un’onirica banchina, travolte dalla polvere. Il tempo passa, il treno fischia, la consapevolezza arriva come un lampo squarciante a mostrare vuoto ciò che si credeva pieno. Non vediamo il viso della donna, ma ne sentiamo l’incomunicabile angoscia. Un invito chiaro racchiuso nel titolo (l’ultimo treno) non ci sarà replica, prendere o lasciare, abbandonare gli ormai inutili contenitori di passato, lasciare l’ancora, trovare il coraggio di spingersi altrove.
L’alternativa? Restare funamboli, appesi al precario, incastrati in meccanismi instabili, o sedersi sotto costruzioni traballanti, piene di mille dettagli, ma senza concretezza.
Alessandra Carloni parla attraverso le immagini, sprona e comunica con la forza che solo il segno nascosto nel racconto può dare: siate libere.