Quest’anno il lavoro per l’allestimento della mostra del Premio Comel alla sua ottava edizione è stato sorprendentemente polifonico. Uso questo aggettivo perché nello spostare le opere, sembrava sempre di trovare una nuova armonia creata dalla voce di ognuna.

Nel lavoro di curatela di una mostra e soprattutto nell’allestimento finale spesso si percepisce chiaramente come alcuni pezzi non possano stare vicini, perché magari uno molto forte risucchia l’attenzione togliendola ad altri, o forse perché hanno bisogni logistici diversi e mille altre ragioni non sempre facilmente spiegabili razionalmente.

opere di The Bounty Killart e Marcello Trabucco

13 FINALISTI POLISINFONICI

Invece quest’anno no: i tredici finalisti del Premio Comel hanno creato insieme un’opera polifonica che, come andavamo spostando, si riassemblava in una nuova melodia.  Ogni pezzo creava immediatamente una nuova sinergia armoniosa e intrigante con quelli vicini.

Ci siamo fermate e abbiamo pensato al titolo di questa ottava edizione. Titolo che intuitivamente, come ha saputo sottolineare il presidente della Giuria Giorgio Agnisola, è stato scelto prima di questo periodo pandemico che stiamo vivendo: Legami. E così è stato. Gli artisti provenienti dall’Italia e dall’estero hanno lavorato ognuno su questo tema declinandolo secondo il proprio sentire e proponendo poi un’opera che incredibilmente risuonava armoniosamente con tutte le altre dodici. Un lavoro quindi più facile e proprio per questo più difficile del solito l’allestimento di questa ottava edizione che, come un numero otto rovesciato ci suggeriva una continua e infinita possibilità di spostamento delle opere nella galleria.

Gennaro de Marino, dettaglio (foto A. Marchetti)

Come delle patches di un grande patchwork le opere si aprivano a un mosaico di assemblaggi possibili pur mantenendo ognuna una propria individualità ben definita. La narrazione interna che caratterizza ogni opera, e che fondamentalmente basta a sé stessa, si andava potenziando nell’incontro con le narrazioni provenienti dalle altre opere.

UNA NARRAZIONE KINTSUGI

In questa dinamica mobile ci siamo fermate su una delle molteplici possibilità che ci si andavano manifestando e questa è la narrazione che oggi proponiamo a chi viene a visitare a mostra allo Spazio Comel. Una narrazione che ci riporta con la potente capacità di sintesi della creazione artistica, al momento contemporaneo che stiamo vivendo e ci apre verso una soluzione che è accordo sinfonico, rispettosa giustapposizione, ascolto reciproco.

Paolo Pompei, dettaglio

Non credo negli inviti alla resilienza. Non è nel negare o nascondere la sofferenza che si trova il riscatto. Ma in un accurato lavoro di kintsugi che permetta alle fratture di apparire e impreziosire, di tenere insieme nonostante le spaccature. Un kintsugi che ci permetterà di formare un vaso che non potrà più essere quello di prima ma proprio per questo sarà in grado di raccontare la scommessa polifonica alla quale questo tempo ci invita.