Quando Elizabeth lasciò Roma chiudendo la home gallery dove avevo lavorato per tanti anni decisi che comunque avrei continuato a lavorare con gli artisti come una curatrice freelance, o per meglio dire randagia.

Ora il problema era quello di creare un  nome, che esprimesse la mia nuova dimensione. L’idea era quella di sostenere un gruppo di artisti che condividesse una sorta di piattaforma…

Quando me li immaginavo li vedevo tutti insieme su una sorta di tavola da surf pronti a sfidare le incertezze che la scelta controcorrente del loro percorso gli stava imponendo, ma pronti anche a godere di spettacoli rari, visibili solo a chi ha il coraggio di spingersi oltre e lasciare le zone di confort.

Sapevo che era, ed è ancora, così. Per loro e per me. Difficile scelta quella di seguire la propria creatività in questa società, difficile lavoro quello di sostenerli. Ma lo facevo da anni e continuavo a crederci.

Avendo lavorato a lungo con gli artisti quando me li immaginavo li vedevo in faccia, con le loro tele o tavole sotto il braccio ognuno sorretto dalla propria tecnica. Io sorretta da loro. Dal loro estro. Dalla loro visione.

Così due immagini si andavano sovrapponendo:

Quella della grande onda di Roxy Deva, ricca di suggestioni, ipnotica, carica di significati, caotica nella sua apparenza ma pura e lineare negli algoritmi che l’avevano generata.

Altra immagine era quella di una stazione. Un binario con una banchina. Sì, quella che gli inglesi chiamano platform. E quando mi balenava quest’immagine in mente non potevo evitare di accostarla a Platform A, la galleria sui binari creata da Tony Charles a Middlesbrough in Inghilterra. Una banchina sulla quale aspettare quel fantastico treno che chissà dove ci porterà, una banchina dove accogliere qualcuno che arriva da lontano, con le sue valigie ricche di vissuti e pronto a mescolarsi con noi. Una banchina sulla quale forse siamo appena arrivati e dove ancora ci guardiamo intorno senza sapere dove andare…

Platform A

A queste due immagini si andava affiancando l’idea della piattaforma come spazio mentale comune a più persone, luogo delle idee dove incontrarci, condividendo visioni e progettualità, una sorta di sostegno ideologico su cui poter costruire.

Così in un giorno di sole, con delle amiche, stavamo sul prato di Villa Panphili. Chiacchierando tra le margherite e i papaveri della fine di aprile siamo arrivate a parlare di questi miei vagabondaggi mentali.

Fu Cristiana all’improvviso a dire: “Qualcosa come Artplatform!!”. E così è stato.