Mani e sbarre. Questi sono i forti simboli che raccontano la quarantena e l’isolamento nell’opera di Lola Poleggi. Le dita, abili e flessibili incontrano la rigidità del contenimento metallico. E’ l’essere umano che nella sua predisposizione al movimento, fisico emotivo e mentale, viene rinchiuso e bloccato.

La sofferenza è evidente. Eppure proprio attraversando questa sofferenza l’essere umano trova riscatto. Un riscatto personale, interiore che sa trasformare il limite in slancio creativo, grazie alle mani. E’ una scelta individuale rispondere all’anelito delle proprie mani. Riempire i silenzi e la solitudine con l’arte è un atto di rivoluzione.

Così nell’opera Sinfonia dei Limiti le sbarre si trasformano in corde d’arpa grazie al pizzico delle dita. E’ la capacità creativa dell’essere umano che non si arrende. L’arte e l’abilità di riconoscerla ovunque diventano risposta e sostegno durante i momenti di solitudine e sofferenza.

Di nuovo con l’opera Prigione di Lacrime troviamo le mani sulle sbarre. Questa volta a tenerci compagnia non è l’arte, ma il dolore. Nella solitudine spesso ci aggrappiamo proprio alla nostra personale sofferenza, unica compagna, che ci mantiene in contatto con quanto si muove dentro di noi. Le mani ora sono pugni chiusi nell’impotenza della rabbia. Non c’è melodia, ma urlo. Poi lacrime. Sono queste che sciolgono le sbarre e restituiscono potere alle mani.

Ancorarsi al proprio dolore diventa anch’esso un gesto rivoluzionario. Mai compreso. Sempre inserito all’interno delle patologie psichiatriche. Eppure, proprio come l’arte, il dolore ha il potere di farci sentire umani, e tanta della nostra creatività nasce proprio da questo.

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