Daniela Di Mase ha per tela il fornello e il lavandino, dove resti di cibo e schizzi di sugo si trasformano in narrazione comunicando una dimensione domestica in cui il quotidiano sceglie di trasformarsi. Un’arte che sa raccogliere spunti dal caos, convivere con ciò che viene ritenuto fastidio, mostrare l’imperfetto.

Nel suo video Lo Vuoi Un Caffè, presentato per la mostra Pericolose!  la voce di Alda Merini accompagna le immagini di una cucina in disordine. Sono riflessioni che si snocciolano seguendo il movimento della camera. Riflessioni quasi colte da un random mentale in cui il pensiero dell’artista sembra fondersi con quello della scrittrice. Si finisce risucchiati nel loop della sequenza lenta con la sensazione di ritrovarci nel soliloquio di una qualsiasi Merini che mai diventerà famosa ma che davanti al fornello sporco si ferma. Sa guardarlo e spingere il pensiero oltre.

Guardare il lavoro domestico e capovolgerlo trasformando il caos in arte è un gesto che avrebbe potuto salvare diverse donne. Guardare il caos e sentirsi adeguate a questa dimensione di stratificazioni di vite.

Al video si aggiunge l’installazione Barbies, 12 barbies vintage, ormai scapigliate e mal vestite reggono cartelli con le 33 definizioni ritrovate nelle cartelle cliniche delle donne: loquace, instabile, irriverente, prepotente, piacente, irosa, dedita all’ozio, civettuola… Trentatré definizioni che vengono sapientemente raggruppate dall’artista in gruppi da tre e accompagnate a una libera scelta, lavorativa o di vita privata, a cui le donne oggi hanno diritto.


Un’immersione in un cromatismo vivace,  che se da un lato decostruisce l’immagine della Barbie donna perfetta, dall’altro mostra le conquiste del nostro quotidiano. Il cliché di un femminile che si è rivelato portatore di autosvalutazione, in quanto mai effettivamente raggiungibile, viene trasformato in un presente in cui possiamo permetterci di elaborare il passato patriarcale ricoprendo ruoli e incarichi dai quali prima le donne erano precluse. Un presente in cui possiamo dire insieme all’artista:

“Ora posso coltivare i miei sintomi, Non finisco dentro perché sto fuori. Sto fuori e cullo il mio dentro insieme a voi in questo manicomio a cielo aperto!”