Quante donne sono state considerate pericolose e quindi allontanate come streghe o come pazze semplicemente perché in grado di comunicare con il mondo naturale, riconoscendolo e utilizzandolo?
Mirella Rossomando ci presenta una donna intrecciata alla natura, tra i suoi capelli foglie e fiori, mentre il busto si dissolve confondendosi con la vegetazione. E’ una donna sola, silenziosa, ma dal volto sereno. Eppure sul suo corpo la pianta che si arrampica è il velenoso elleboro e tra i suoi capelli passeggia il mortale ragno dei cuniculi.
Una donna quindi che sa convivere con la natura più pericolosa, una donna che la incarna e si confonde con essa. Una donna pericolosa.

Questa l’opera che Mirella Rossomando ha presentato nella mostra Pericolose! in occasione della ricorrenza della firma della Legge 180 sulla chiusura dei manicomi. Una riflessione al femminile che legandosi al mondo dei simboli racconta una storia ancora poco nota: quella delle donne allontanate dalla società e internate nei manicomi perché ritenute pericolose.

Nel lavoro della Rossomando tornano spesso piante e insetti, mai a caso. Così oltre alle foglie di elleboro ritroviamo sul collo della donna il coleottero verde, conosciuto come mosca spagnola, il suo elitre contiene un veleno che può essere terapeutico, ma anche mortale, a seconda dell’uso che se ne fa. Tra le foglie di elleboro ai suoi piedi vola un calabrone africano, altro esponente del mondo pericoloso degli insetti.

Le conoscenze di botanica e di entomologia della Rossomando le permettono una raffinata riproduzione di piante e animali che non appaiono mai fini a se stessi o con valore decorativo, ma ambasciatori di una storia fatta di usi medicinali e simboli in un rimando di archetipi dove il presente si perde nel mistero di un passato che non è dato svelare in todo.

Così l’elleboro appare come pianta medicinale e al tempo stesso come veleno. Nella sua duplice valenza è stato riconosciuto nelle epoche sia come causa che come cura alla pazzia. Allo stesso modo appare il ragno, che nel nostro immaginario facilmente ci riporta ai riti del tarantismo, dove l’insetto, da portatore di pericolo diventava strumento di catarsi. In entrambi i casi, sia per quanto riguarda il mondo vegetale che quello aracnide, la donna è vittima, strumento e beneficiaria del pericoloso potere naturale.

La donna è quindi colei che sa interagire, dialogare, con il mondo occulto del pericolo. Sa lasciarsi mordere dal ragno, diventare essa stessa ragno velenoso, e utilizzare questa esperienza per liberarsi dal veleno e tornare al quotidiano. Metafora di un percorso catartico, che non si consegna mai del tutto al sapere razionale, ma sa mantenere e proteggere una dimensione di mistero, di conoscenza irrazionale, di accesso alla meraviglia e per questo di sano pericolo.