Dice un antico haiku zen: “Se incontri Buddha per strada, uccidilo.” E’ un ammonimento, un invito a non seguire i maestri che si incontrano durante la vita, ma ad ascoltare la voce del proprio maestro interiore. E’ lo studente infatti che riconosce il maestro e lo rende tale.

Con il lockdown ci siamo ritrovati allontanati da tutto e anche Buddha per strada non ci girava più. Molti stimoli che ci tenevano desti si sono spenti e così le esperienze della nostra vita si sono andate allontanando mescolandosi con le nostre radici.

Mirella Rossomando racconta l’esperienza della solitudine con un’opera silenziosa, dal gusto minimal e barocco al tempo stesso. Una tecnica mista su cartoncino che si sviluppa orizzontalmente allungando lo spazio tra la base e la zona superiore, come a creare un distanziamento tra un passato ricco di intrecci e esperienze e un presente di pura essenza.

Nella parte inferiore dell’opera troviamo un vaso formato da un intreccio di radici color petrolio. Le radici salendo si aprono in foglie diventando habitat per diverse forme di vita: dalla rana, alla libellula alla salamandra. Sono simboli dei quattro elementi: l’anfibio  è legato alla terra e all’acqua, la libellula all’aria e la salamandra al fuoco. In questi simboli troviamo gli ingredienti del vivere, l’alimento per la nostra sussistenza.

Le esperienze e gli ambienti che ci hanno formato vivono nelle nostre radici: un brulicare di vita tra foglie, rami e fili d’erba, ma per raggiungere l’oro bisogna allontanarsi dalla radice e inerpicarsi lungo i tronchi lisci fino all’alto piedistallo, dove una donna dorata medita.

La stasi imposta dalla quarantena è quindi  momento terapeutico nel racconto dell’artista. Nel silenzio e nella solitudine emergono ansie, fobie, psicosi, ma nella stasi le possiamo lasciare decantare, evaporare, assaporando il dilatarsi del tempo.

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