Le opere di Antonella Fiorillo si inseriscono nel territorio dialogando con esso nella perenne ricerca di un ramo, un fiore, un elemento naturale, anche quando questo si trova in mezzo al cemento.
Pende dai rami di un giovane ulivo la sua cianotipia dedicata alla mostra Pericolose per le Giornate Basagliane del 2022.
Un’opera su cotone che si lascia carezzare dal vento e raccoglie pochi punti cuciti in cui si può leggere la frase “Vai e ripara la mia casa”

Antonella Fiorillo raccoglie la solitudine di un filo, sia esso stelo o rocchetto, e se la lascia scorrere silenziosamente tra le dita. L’esperienza tattile delle mani diventa parte integrante del processo creativo, ascolto del fluire di ogni essenza. Ostacolo nel perforare il tessuto, superamento nel distendersi del filo, incontro nella trama; tutto questo passa attraverso le dita e l’ascolto sensoriale. E questo ascolto diventa dialogo con il corpo, vissuto come prima e perpetua dimora.

Con l’intrecciare e il tessere Antonella Fiorillo ci mostra il narrare come anelito umano verso la condivisione dell’inesprimibile. Siamo soli in quanto la solitudine è proprietà ontologica di ogni essere vivente. Ma è proprio questa stessa solitudine, questa caratteristica indiscutibilmente legata al vivere, che ci accomuna ad ogni essere, sia questo vegetale, animale o umano.

Nella ricerca artistica della Fiorillo il segno grafico della scrittura si va mescolando al gesto del cucire gettando un ponte tra una preistoria orale e una storia computata e trascritta.  Due movimenti di polso atti a tramandare. Due movimenti che in questa frase, come in un breve haiku, riportano racconti di corpi che sono case, di vite che in queste case di pelle delicata tentano di non cadere a pezzi. Un racconto che nel silenzioso fruscio del vento porta il richiamo, sussurrato e al tempo stesso invocato, gridato con l’anima in bocca “Vai e ripara la mia casa”

 

“Vai e ripara la mia casa”:
troppo spesso dimenticata dalla fortuna,
da una giustizia

colpevolmente assente.

Un lavoro nato in un tempo, lungo una vita,
in cui ho sempre cercato di alleviare una malinconia:
cercavo invano un perché a tante pene,

una giustificazione a tanta assenza di bene.

E’ un’angoscia di esilio dal mondo, dalla vita.
Nato in un tempo, lungo una vita, anche mia,
ma anche di tutte le donne senza pelle;
quelle che, cadendo a pezzi, vorrebbero solo dire:
“Vai e ripara la mia casa”.

A me, a mia cugina C., alle donne in guerra, a quelle con la guerra dentro.